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Associazione "PASSAGGI. Le scienze sociali in classe"   I progetti "Informalmente" e "Telestreep!"

Massimo Ariati

 

“Informalmente” è un progetto promosso dalla Provincia di Ferrara in collaborazione con 4 Istituti di Scuola Media Superiore di Ferrara e provincia avviato nell’anno scolastico 2002-2003. L’idea di fondo è quello di avvicinare ai ragazzi i servizi e le risorse esistenti sul territorio, offrendo informazioni e orientamento a 360 gradi su tutto ciò che può essere rilevante per loro (relativamente al tempo libero, alla formazione, all’attività sociale e culturale …); rilevando suggerimenti, idee, proposte, bisogni che possano, da un lato, orientare l’azione degli adulti di riferimento e delle istituzioni preposte (scuola e organismi provinciali) e, dall’altro, rappresentare un’occasione per promuovere direttamente le progettualità giovanili. Concretamente, a partire dall’anno scolastico 2002-2003 sono state attivate 4 postazioni dotate di Personal Computer collegato in rete in ognuna delle 4 scuole coinvolte. In ognuna di queste, un operatore-animatore è al servizio dei ragazzi e degli insegnanti per due mattine a settimana.

Uno degli aspetti più innovativi di Informalmente è la promozione del protagonismo giovanile attraverso l’attivazione di micro-progettualità. È in questo contesto che nasce “Telestreep!” un progetto di educazione ai media, finanziato dal progetto europeo GIOVENTU’, la cui finalità generale è quella di offrire l’opportunità ai ragazzi di comprendere il linguaggio dei media sperimentando tutte le fasi di una produzione televisiva. Il partner tecnologico di questo ambizioso progetto è TeleEstense che, oltre a preoccuparsi della formazione delle 4 redazioni (una per scuola), composte interamente da studenti, ospiterà nel proprio palinsesto i video/servizi prodotti.

 

Relazione conclusiva sul progetto “Telestreep!” di Massimo Ariati del Liceo Ariosto

 

Un vecchio e citatissimo adagio ci ricorda che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Non so se i proverbi racchiudano la saggezza popolare, a volte infatti si contraddicono, come nel caso di “chi fa da sé fa per tre” che smentisce “l’unione fa la forza”, di certo sono troppo sintetici e lasciano spazio al non detto che deve, invece, essere esplicitato. Ora, nel proverbio di cui si parla, il non detto riguarda il termine mare. Si tratta certamente di una metafora: l’idea della distanza, della lontananza, dello spazio infinito, dell’orizzonte irraggiungibile e tante altre cose ancora. Ma se proviamo a riempire di significato la metafora, a costruire dei pontoni per attraversare il mare, vediamo che il gioco, se di gioco si può parlare, diventa interessante. Intanto, per voler attraversare il mare ci dobbiamo chiedere perché farlo, in fondo il piacere di guardarlo a volte supera il gusto dell’avventura. Per prima cosa, dobbiamo quindi trovare il senso di ciò che andiamo a fare, e il senso, in questo caso è la motivazione che ci spinge: il piacere della sfida, il mettersi alla prova, il desiderio di sperimentarci e di risvegliare il piccolo Ulisse che sonnecchia in ognuno di noi. Ma non basta. Una cosa è affrontare il mare su una zattera, in balia dei flutti, privi di bussola, senza conoscere le costellazioni, ben altra è farlo con una barca attrezzata, dopo aver imparato il gioco dei venti e aver preso dimestichezza con le apparecchiature di bordo. Insomma dopo aver appreso almeno i rudimenti della navigazione. Ecco allora che, smontando il proverbio, balzano fuori alcune cose implicite nella metafora del mare: il senso, la motivazione, l’apprendimento. Riassumendo il tutto in una sola parola: la formazione. E l’adagio, quindi, diventa che tra il dire e il fare c’è di mezzo la formazione. Fuori di metafora, ogni vera formazione implica significatività, motivazione e conoscenza come punti di passaggio tra il dire e l’agire, tra il blaterare a vuoto e l’essere protagonista, tra i desideri e la realtà, tra i bisogni e le realizzazioni.

 

Se è giusto quanto ho scritto, si tratta adesso di vedere se il progetto di Telestreep ha retto alla prova delle affermazioni precedenti; e se esso si è affiancato trasversalmente alle varie attività didattiche che quotidianamente si mettono in pratica nella scuola.

 

Partirei da una considerazione apparentemente banale, ma in realtà fondamentale, una questione raramente esplicitata eppure centrale nel processo formativo. Da sempre, e spesso purtroppo ancora oggi, nella nostra scuola – ma non solo nella scuola – si tende a privilegiare la capacità della risposta esatta, piuttosto che quella di premiare la domanda giusta. Invece ogni vera scoperta non parte mai da una risposta, ma da una domanda. Con questo non voglio sminuire le conoscenze, che sono indispensabili, ma che non si può più trascurare la capacità di interrogarsi e di interrogare la realtà che ci circonda. E il progetto di cui stiamo parlando ha favorito, direi quasi obbligato, i nostri allievi/e a porsi il problema della domanda, dell’importanza della domanda, della centralità della domanda. Quindi, il senso.

 

Come secondo punto vorrei soffermarmi sulla celebre tripartizione ciceroniana tra “quelli che sanno, quelli che non sanno e quelli che sanno dove guardare”. Fermo restando il fatto che “quelli che non sanno” erano, sono e saranno gli esclusi di ieri, di oggi e di domani, mi pare importante riflettere tra i due restanti protagonisti della tripartizione: “quelli che sanno” e “quelli che sanno dove guardare”. Ora, se fino a ieri i privilegiati erano gli appartenenti alla prima categoria, mi sembra che il raddoppio delle conoscenze (sempre più rapido), la complessità della realtà sociale e la sovrabbondanza informativa, tenda a mettere in posizione di vantaggio i secondi. È la capacità di scovare la persona giusta, di individuare la fonte attendibile, di saper assumere di fronte alle cose uno sguardo carico di genuino stupore per il non visto dai più, che ci permette di leggere meglio il mondo che ci circonda. Anche in questo caso il progetto Telestreep ha portato le varie redazioni a diventare agenzie investigative, a girare fra gli argomenti e i luoghi individuati con occhi indagatori, a telefonare e a parlare qua e là per cercare le tracce che potessero avvicinare alla meta. E qui troviamo la motivazione.

 

Ancora, e da ultimo, io, e credo tutti quanti noi che abbiamo partecipato a questa avventura, ho riscoperto il piacere di imparare a bottega, il gusto dell’officina, del fare, del sapere pratico, di prendere in mano una telecamera o un microfono, di riguardarmi e risentirmi senza riconoscermi. Di voltarmi, non visto, per osservare lo sguardo dei vicini nel tentativo di leggere nelle loro espressioni l’assenso o il diniego. L’emozione di riprendere una scena ripetendomi mentalmente: non troppo cielo, controcampo, campo lungo, attento a … a cercare complicità e aiuto dagli altri. Insomma, il vecchio sapere artigianale che oggi chiamiamo capacità di networking e di lavorare in squadra. Potenza della moda, in cui l’antico, con un breve restiling linguistico, diventa postmoderno! Anche questo abbiamo riscoperto. Abbiamo cioè incontrato l’emozione dell’apprendimento.

Oggi si svolge il seminario di restituzione del progetto, tra un po’ si torna a casa, il viaggio è terminato. Si approda a Itaca, arricchiti da nuove esperienze e con dentro la malia del viaggio che ci ha fatto attraversare il mare, proprio quello che sta tra il dire e il fare.

 

 

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